«State
attenti, loro sono ancora fra noi.»
Chris
spense la televisione, con la mano ancora tremante appoggiò il telecomando
accanto a sé sul divano.
«Bel
film» commentò Erik.
«Chris,
ma ti sei davvero cagato sotto?» disse Tyler sghignazzando.
«No,
ma che cazzo dici, stavo pensando.»
«Stai
sudando» lo prese ancora in giro Erik.
«Dai,
ragazzi, è tardi, domani devo svegliarmi presto, andate a casa…» gli rispose
Chris.
«Eddai,
i tuoi non sono ancora arrivati, guardiamoci una puntata di X-Files, di solito
a quest’ora la danno sempre!»
«No,
sul serio, son stanco, e se mi beccano ancora alzato a quest’ora mi tolgono la
televisione per un mese…»
«Va
bene, facciamo la prossima volta…» rispose Erik.
I
due amici andarono a prendere il giubbotto e lo salutarono, Chris rimase sulla
soglia a guardarli allontanarsi nel vialetto buio, finché non furono
inghiottiti dall'oscurità. Volse lo sguardo al cielo, ammirando le stelle.
“Chissà
se davvero esiste qualcuno in un’altra parte dell’universo…”
Rimase
perso nei suoi pensieri fino a quando un rumore improvviso lo fece voltare:
proveniva dalla cucina.
«C'è
qualcuno?» disse richiudendo la porta. «Ragazzi, siete voi?»
"Non
è la prima volta che ‘sti due idioti rientrano dalla finestra per farmi venire
un colpo…"
Arrivò
davanti alla porta della cucina e si fermò, in casa regnava il silenzio, Chris
incominciava a sentirsi irrequieto, deglutì per cercare di mandare giù il nodo
che gli si era formato in gola.
«C'è
qualcuno?» gridò, la voce gli uscì più stridula del previsto.
Nessuna
risposta.
Si
fece coraggio e spalancò la porta, istintivamente con la mano cercò
l'interruttore e accese la luce.
La
cucina era perfettamente in ordine, la lavastoviglie aveva la spia fissa, segno
che aveva terminato il ciclo di lavaggio.
«Vaffanculo...»
disse, «ma dai, Chris, ti fai spaventare dalla lavastoviglie.»
"La
devo finire di fare queste serate horror."
Spense
la macchina, poi aprì il cassetto delle posate e prese il lungo coltello da
pane.
"Be’,
magari non ci saranno alieni o mostri, ma con tutti i ladri che ci sono, meglio
aver qualcosa con cui difendersi."
Col
coltello in mano si sentì più al sicuro, salì le scale e andò in camera.
Un
rumore, una specie di verso animalesco lo fece sobbalzare.
«E
che cazzo!»
“Datti
una calmata, sarà stato un animale nel bosco qui vicino… devo smetterla di aver
paura… tanto tra poco arrivano mamma e papà.”
Si
mise il pigiama e andò verso il bagno per darsi una sciacquata. Come mise il
piede nella stanza la sua mente tornò al protagonista del film, che
terrorizzato osservava le proprie unghie e capelli cadere senza poter fare
niente.
Per
un attimo gli parve quasi di averlo lì davanti, nella doccia, mentre si teneva
la testa glabra fra le mani, l'espressione terrorizzata stampata sul volto.
"Ma
porca..."
Strabuzzò
gli occhi, l'uomo scomparve, volatilizzato.
"Che
cazzo, a sedici anni mi faccio ancora influenzare dai film sugli alieni."
Posò
il coltello sullo sgabello vicino al cesso, aprì il rubinetto e si lavò i
denti. Per tutto il tempo tenne lo sguardo fisso sullo specchio dinnanzi al
lavandino, osservando la finestra alle proprie spalle cercando qualche
possibile movimento, ma fuori era tutto nero, immobile.
“Una
bella sciacquata con l’acqua fredda e tutti questi pensieri idioti passeranno.”
Ma
anche dopo essersi tolto il sudore di dosso rimase in uno stato di
inquietudine, stese il braccio davanti a sé: la mano tremava.
Prese
il coltello, intenzionato a chiudersi in camera fino all’arrivo dei suoi,
quando sentì la porta di sotto aprirsi e le risate acute della madre.
“Finalmente,
cazzo.”
Scese
le scale di corsa.
«Ciao
Chris! Ancora sveglio?» lo salutò la madre.
«Sì,
ne ho approfittato per guardarmi qualche bel film con amici, ma stavo giusto
andando a letto»
«E
con quello cosa ci fai?» chiese accigliato suo padre, indicando il coltello.
«Oh
niente, avevo sentito dei rumori…»
I
suoi scoppiarono in una fragorosa risata.
«Meno
male che ci sei tu a tenere il forte quando non ci siamo» lo schernì il padre.
«Ridi,
ridi, vorrei vedere te rimanere tranquillo dopo i film che ho visto»
«Su,
ora va‘ a posarlo» gli disse sua madre, facendo un gesto con la mano.
Chris
notò che le mancava l’unghia dell’anulare.
«Cosa
c’è, Chris?» chiese preoccupata. «Sei bianco come un cencio»
«La…
la tua unghia…» balbettò.
«Ah,
per questa!» disse ridendo la madre. «In ufficio mi son beccata in pieno il
dito con il timbro e l’unghia mi è caduta, capita.»
“La
devo finire con questa storia, sono paranoico.”
Andò
a posare il coltello nel cassetto in cucina, salutò i suoi che si erano messi
sul divano a guardare la tv e salì le scale.
“Domani
mattina tutto questo mi sembrerà una grandissima cazzata“ pensò, mentre si
tirava le coperte fin sopra le orecchie.
Il
cielo sopra di lui era arancione con sfumature di rosso, gli occhi di Chris ci
misero qualche secondo ad abituarsi all’intensa luce emessa dai due soli, alti
nel cielo.
“Dove
sono finito?“ si chiese.
Si
guardò intorno: si trovava in una brulla pianura rossastra sulla quale il vento
alzava una sottile polvere che gli faceva bruciare gli occhi.
Li
chiuse e se li strofinò, togliendosi la sabbiolina con le dita.
Ci
mise qualche secondo prima di riaprirli, intorno a lui non c’era nulla, salvo
una specie di enorme cratere a pochi passi da lui.
“Sono
in mezzo al nulla” costatò.
All’orizzonte
qualcosa attirò la sua attenzione: cercò di mettere a fuoco quelle strane forme
che spuntavano in mezzo al deserto e che riflettevano la luce.
“Sarà
una città?“ si chiese, incamminandosi in quella direzione.
Man
mano che avanzava sotto al calore cocente dei soli le forme acquisivano
contorni più definiti: sembravano essere un grande ammasso di coni giganteschi,
la superficie grigia era perfettamente levigata.
“Spero
che lì ci sia qualcuno, ormai ci sono quasi…”
Quando
arrivò alla base del primo edificio, però, la sera era ormai giunta, i soli
erano tramontati portandosi via il caldo asfissiante, l’aria si era fatta più
fredda e il vento più intenso.
Si
strinse nelle spalle cercando di riscaldarsi, ma servì a ben poco contro il
freddo pungente: non sentiva più le punta delle dita delle mani e gli stava
salendo un forte mal di testa. Fece il giro dell’edificio, ma non trovò porte o
aperture di sorta, così proseguì nel buio verso altri edifici, aveva le gambe a
pezzi, ma si costrinse ad andare avanti.
“Chissà
cosa c’è dentro questi cosi... E chi li ha messi qui...”
Continuò
la sua esplorazione senza risultati, fino a quando un rumore improvviso non
attirò la sua attenzione.
“Passi…”
Il
rumore si faceva sempre più vicino. Il cuore gli balzò in gola.
Iniziò
a sudare freddo e a tremare, le sue gambe erano immobili, paralizzate dalla
stanchezza e dalla paura; cercò di scorgere qualcosa nell’oscurità: una forma o
un movimento, ma non vide nulla.
L’enorme
luna del pianeta emetteva una luce fioca, che non riusciva a penetrare fra
tutti quei palazzi.
«Chi
c’è?» gridò.
“Che
strano… in un posto come questo dovrebbe esserci l’eco…” Le sue parole erano
state come assorbite dal vento e portate lontano.
«Tucramix,
cosa ci fai ancora qui? So che sei contrario, ma va fatto. Vieni dentro, stiamo
per avviare il trasferimento.» La voce, simile ad un bisbiglio, gli aveva
parlato direttamente nella testa.
Dalle
tenebre emerse una figura umanoide dal cranio oblungo, si fermò davanti a lui,
proprio dove un raggio di luna riusciva a filtrare: la pelle era pallida e
ricoperta da vene, nella luce che arrivava la creatura sembrava quasi brillare, aveva un qualcosa di etereo, di
sovrannaturale.
«Forza,
vieni, questo non è più il nostro posto» sentì nuovamente la voce nella testa.
La
creatura gli porse una mano biancastra e viscida e Chris l’afferrò, seguendola
oltre una porta che si era aperta in un cono di metallo lì vicino.
All’interno
dell’edificio l’aria puzzava di chiuso e faceva un caldo insostenibile, Chris
passò in pochi secondi dal tremare di freddo all’essere sudato marcio. Si
addentrarono sempre di più nei meandri della costruzione, le pareti erano
illuminate solamente da una chiara luce azzurra proveniente da spesse linee
fluorescenti a metà altezza.
“Come
ci si sveglia da questo incubo?”
Proseguirono
per quelle che a Chris parvero ore, i corridoi gli sembravano tutti uguali, non
riuscì a cogliere nessun punto di riferimento.
“Potrei
fuggire… ma per andare dove?” Scartò l’idea un secondo dopo averla valutata.
Arrivarono
in una fredda stanza illuminata solo dalle fasce giallastre lungo i muri,
queste erano in movimento continuo, si spostavano da un muro all’altro come in
un flusso, dotate di vita propria; al centro della stanza si trovavano tre
grandi bozzoli semiaperti e, accanto ad uno di essi, un’altra creatura, come
quella che l’aveva accompagnato fin lì.
Quest’ultima
lo fissò: Chris sentì i suoi occhi analizzare ogni centimetro del suo corpo
“Mi
sta… studiando?”
L’altro
essere gli diede una leggera spinta sulla schiena, facendogli segno di entrare
nel bozzolo.
Riluttante,
Chris vi entrò e si sdraiò, l’interno era ruvido e umido; quando l’apertura
sopra di lui si chiuse, il sangue gli si raggelò nelle vene.
Si
svegliò di soprassalto, la fronte e le ascelle imperlate di sudore, da sotto la
porta chiusa che dava sul corridoio un fascio di luce arancione illuminava
l’ingresso della sua stanza, guardò l’ora: erano le quattro del mattino.
“Cosa
ci fa la luce accesa in corridoio a quest’ora?”
Si
avvicinò lentamente alla porta, prese la mazza da baseball per sicurezza e
rimase un secondo acquattato, con l’orecchio teso a recepire il più minimo
rumore.
Passi.
Poteva sentirli distintamente. Delle ombre oscurarono per un istante la luce proveniente
dal corridoio. Dei rumori, forse dei versi. Chris era immobile, impietrito, poi
la luce tornò a filtrare da sotto la porta e il rumore di passi si allontanò.
Aprì
leggermente la porta sperando non scricchiolasse, sbirciò con un occhio e
riuscì a intravedere di sfuggita due alte figure uscire dalla stanza dei suoi
genitori e scendere le scale, le seguì, mantenendosi a distanza. Le creature
entrarono in cucina e lui si nascose dietro al divano in soggiorno, le vide girare
intorno al tavolo per un paio di volte, poi uscirono e si fermarono davanti
alla porta d’ingresso, sembrarono annusare l’aria per un’eternità; le gocce di
sudore gli solcavano il viso, strinse forte la mazza da baseball, pronto ad
usarla.
“Cosa
avete fatto ai miei genitori, bastardi…” pensò.
Le
creature, infine, uscirono dalla porta, dileguandosi nell’oscurità.
Chris
rimase per un attimo fermo, respirando profondamente, chiedendosi se quello che
aveva appena visto fosse reale.
Restò
nell’oscurità per qualche altro secondo, per essere certo che quelle cose si
fossero allontanate, poi richiuse la porta lasciata aperta e andò in cucina a
prendere il coltello da pane.
«Se
vi hanno infettati…»
Tornò
al piano di sopra pieno di paura, temendo cosa avrebbe trovato una volta aperta
la camera dei propri genitori.
“Forza,
lo devi fare” pensò, spingendo la maniglia verso il basso. Fece un gran respiro
e spinse la porta, l’interno era completamente buio e accese la luce: i suoi
erano a letto, ma di umano avevano solamente la forma, la loro pelle era chiara
e squamosa e poteva vedere le vene gonfiarsi sempre di più su quei corpi
scheletrici, i capelli sparsi ovunque sul letto.
«No,
no, no, no…» disse.
Sua
madre aprì gli occhi, completamente neri, e urlò spaventata.
«Cosa
sei? Cosa vuoi?» gli chiese suo padre, svegliandosi all’improvviso.
«Mi
dispiace, voi… vi state trasformando…» disse.
«Sta
attento, ha un coltello!» Sua madre scoppiò a piangere.
«Devo
farlo, non posso permettere che la terra venga invasa.»
Suo
padre con un balzo cercò di afferrargli il polso, ma Chris fu più veloce e lo
colpì alla gola, il sangue fuoriuscì a fiotti, macchiando le coperte beige.
«Oddio!»
gridò la madre in lacrime, mentre il corpo del coniuge giaceva sopra di lei,
senza vita.
«Ti
prego fermati!» lo supplicò.
«Ti
voglio bene mamma, scusami… ma sei infetta, devo farlo!»
«Ti
prego! Cosa hai fatto a Chris?» si coprì il volto con la mani.
«Scusa.»
La
trafisse nel petto, i singhiozzi della donna divennero rantoli di dolore.
Chris
cadde in ginocchio, le lacrime gli rigavano il viso e il corpo era scosso da un
tremore irrefrenabile.
«Mi
dispiace» piagnucolò, poi si accasciò a terra e chiuse gli occhi.
“Dovrò
dire a qualcuno quello che ho fatto...”
Si
addormentò.
Quando
si risvegliò il sole filtrava tra i buchi delle serrande, si alzò dal gelido
pavimento e si diresse in camera sua, doveva riordinare le idee, ma non appena
entrò vide qualcosa di strano nel suo letto, sembrava che qualcuno ci stesse
ancora dormendo.
“Se
fosse uno di loro?”
Accecato
dalla rabbia con un gesto deciso tolse le coperte.
Squarciato
a metà, c’era un involucro di pelle umana, l’interno era pieno di sangue e di
quelle che parevano essere interiora, una scia di sangue incominciava proprio
dal letto e continuava poi fino ad una grossa chiazza di sangue vicino alla
porta, da dove poi finiva in corridoio.
“Dio,
no!”
Corse
in bagno e andò a guardarsi allo specchio, nel riflesso vide una creatura
abominevole, glabra e dal cranio allungato, con due grandi occhi completamente
neri e vuoti.
Unghie e capelli di Stefano Caruso è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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